Un cancello un po’ arrugginito. Un tetto grigio lamiera. Una serie di porte a vetri, da spingere forte per poter entrare. Poi, entrando, luce e colori. Una palestra, parquet appena lavato che sa di buono. Sala pesi luminosa, con vetrate sul campo. Sul lato opposto gli uffici. Una casa. E un laboratorio. Oppure tutti e due. La casa di un Club. Un Club di basket, azienda o artigiano, poco importa, dovrebbe sempre partire da un luogo. Per ricevere il contagio di appartenere.

Nino Molino con la saggezza paziente di chi sa dove e come arrivare parla, spiega, basket e dintorni, e leggo nei suoi pensieri il piacere di lavorare lì dentro.

20 punti. Segnare 20 punti in una partita è qualcosa. Segnare 20 punti in una finale un po’ di più. In una finale per la medaglia d’oro, campionati Europei U18, ancora di più. E con quella medaglia d’oro al collo, quella sera Beatrice sognava felice. “Di diventare una professionista. Di poter giocare in alto”. Poi il primo infortunio, la prima operazione al ginocchio. Rientra, ci sono i Mondiali da preparare, quelli conquistati diventando campioni d’Europa l’estate prima. Insieme a quelle compagne speciali. C’è anche la lettera d’intenti per andare a giocare in America, NCAA, Washington. E ancora il ginocchio fa crac. A 18 anni parte lo stesso per gli Stati Uniti. Rieducazione a Washington. Tutto non facile. Ma la scelta di vita di giocare lì, di fare quella esperienza di vita, era motivazione ogni giorno. Anche in quelli difficili, quando ti sentivi lontana da tutto. Rieducazione, ore e ore ascoltando la gamba. Finalmente in campo. Finalmente allenandosi con le altre su quel campo che avevi tanto guardato dentro una pagina web. Due allenamenti soli. Poi ancora il ginocchio. Tornando in Italia. Ancora rieducazione. Con Dario che ti spinge e protegge ogni giorno. Cagliari, la tua Cagliari. Poi Napoli. Giochi bene. Arriva, meglio torna quella maglia azzurra. Convocazione con la Nazionale A. E per la quarta volta la sfortuna. Ancora una volta ti rialzi. “ Mi sento bene. Mi alleno tutti i giorni. Gioco in A1. Dove mi hanno voluto tenere dopo l’ennesimo infortunio. Sono contenta.”

Ho ascoltato prima da Giovanni Lucchesi qualche pezzo della sua storia, partendo dal quell’oro in Slovacchia, poi ho chiesto a Beatrice se aveva voglia di raccontare. Raccontare la sua storia. Da sognare ad essere felice per sentire di allenarsi ogni giorno. Sorpassando tante lacrime, sentendosi forte. Anche più di quella sera da 20 punti. Beh, una (bella) storia.


Piatti senegalesi, un locale. Questo l’obiettivo di Nene. Insieme a suo fratello e sua sorella. Per dare anni di vita tranquilla alla loro mamma. Obiettivo a cui pensi quando sei sul bus viaggiando verso una partita di A1. Quella A1 che avevi raggiunto a Lucca, chiamata da un allenatore che ti aveva fatto sentire stima e considerazione. Dopo quella medaglia d’oro nel 2010 (insieme a Beatrice) in cui sognavi “di giocare in A1, ma di giocare davvero, sentendomi una giocatrice importante”. E a Lucca, ti eri fatta male ancora al ginocchio, questa volta l’altro. E ti eri sentita persa. “Uno choc. Uno choc, che aveva frantumato tutto. Ho pensato più volte di smettere. Che il sogno ormai fosse svanito. Subito dopo averci messo piede dentro”. Poi le parole continue, anche a distanza, di Martina e di Francesca. Gigi e Laura, le persone che non solo chiami mamma e papà, sempre a sostenerti. Ferrara, il sentirsi voluta. E adesso Napoli, quella A1 che era il sogno. L’inizio del sogno. E lo smarrimento di quei momenti, magari, ha messo dentro al sogno anche quel locale con sapori speciali. DI vita.

Beatrice e Nene. Hanno vinto la medaglia d’oro insieme nel 2010. Campionato d’Europa U18. Due storie diverse. Due sorrisi uguali dentro.

“Quante hanno fatto arresto ad un tempo?” Non è solo una domanda tecnica. Con argomento dettaglio tecnico. Un pezzetto di visione. Solo Beatrice lo aveva fatto. E quando, nell’ultimo esercizio dell’allenamento, Chiara (31 anni, mi permetto di sottolineare) segna e sorride, dopo un arresto ad un tempo, accelerando, sorrido anch’io. Contagiato.

 

Marco Crespi

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