Broni. Entri nel palazzetto e ogni persona ti dice che ad ogni partita si riempie. Ogni persona lo dice con orgoglio, sentendosi protagonista. Roberto Sacchi, con la sua energia e le sue idee, si sente responsabile di questa partecipazione. 

Quasi buio. Alle 6.30 del mattino spesso è quasi buio. Giulia era lì davanti alla porta, alla porta del palazzetto, quando Lollo girava la chiave nella serratura. Tre volte alla settimana. Impegno reciproco. “Qualcuno mi dava della matta. Sono contenta di averlo fatto. E lo rifarei”. Auto-esigenza, la chiama Giulia, sognando di arrivare a giocare in una delle Top 4 del nostro campionato. Perché senza sognare non si può essere esigenti con se stessi. “Mi è servito tanto. Forza mentale, come primo obiettivo, per andare sempre oltre, per non sentire nessun tipo di stanchezza. Tecnicamente adesso sento che posso fare arresto e tiro. Necessario per giocare in A1. Nelle giovanili non ci provavo mai. Pensavo non mi servisse. A volte serve il campo a farti capire che quello che sai fare non ti basta per competere”. 
Un sognare intorno al basket. E l’obiettivo di un sistema deve essere quello di accompagnare i sogni.

Francesca Zara, una carriera vera. Italia, Wnba, Russia e Francia. Un giocare attaccando. Un giocare sfidando l’avversario sul campo. “ L’ho imparato –anche- iniziando a giocare nei campetti. Giocando con tutti. Giocando i maschi. Mi è servito ad avere tempi di scelta ed esecuzione più rapidi”. E averla intorno al campo, porta qualità. Non raccontando storie del passato. Fotografando e parlando su quello che vede oggi.

Sei anni negli Stati Uniti. “Sono cresciuta con il sogno di andare al college. Non solo per il basket. Per l’atmosfera. Per poter combinare studio e sport”. Ashley racconta. Ashley ha le idee chiare. “Se dovessi tornare indietro, non ripeterei l’esperienza a livello di high-school. Programma tecnico di non sufficiente qualità. Al college 1c.1 e lavoro fisico come argomenti principali. Lavorandoci ogni giorno. Ma la lettura nel gioco, come reagire alle situazioni in campo l’ho imparato, meglio lo sto imparando qua in Italia”. Là si manda quasi a memoria un sistema e si ripete e si ripete quello.
“Quando faccio un canestro a 3, è vero, a volte penso di non dover esultare. DI non esagerare. Un po’ per non perdere concentrazione. Un po’ perchè sento che sarebbe più facile, meno strano, se lo facessero tutti”.  
Un canestro è gioia. Trasmettere la propria emozione a tutti è coinvolgente. Non da fermare.

Lydie è nata in Congo. E’ arrivata in Italia quasi cinque anni fa. Per studiare. Raggiungendo suo fratello. A basket giocava un po’ a scuola. In una squadra ha incominciato a farlo In Italia, a Cuneo. Quest’anno gioca in A2, a Castelnuovo Scrivia. Gioca bene. Migliora ad ogni partita. “Certo sogno di poter giocare con la Nazionale. Con la maglia azzurra” Oggi non può farlo. Lo dice con gli occhi che guardano avanti. Anche parlando di Giulia. “ Non la conosco. Anche a me è successo durante una partita. Una persona diceva cose orribili. Non mi sono arrabbiata pensando che era solo una sua opinione. E poi mi hanno aiutato le mie compagne. Scherzando, sorridendo con me tutta la serata. Insieme dopo la partita”. 

 

Ufficio Stampa FIP

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