Appunti dal campo, attraverso un numero, una statistica insieme alle parole di chi è protagonista, per provare ad arrivare ad un pensiero tecnico.

35’52” in campo e doppia doppia (11 punti e 10 rimbalzi), a Empoli vittoria in trasferta significativa per la sua Torino, questo il cartellino della partita di Valeria Trucco.

Saltellare per il campo. Glielo avevo visto fare alla fine della partita vinta contro Vigarano nell’opening day. Correre, e saltellare, le braccia che si alzano e si chiudono gioiose sopra la testa. Descrizione complessa, ma gesto che conosciamo tutti per essere stati bambine e bambini felici, almeno una volta. E quando dico a Valeria di essere stato colpito da quel gesto spensierato, subito aggiunge “L’ho fatto anche ieri. Siamo una squadra che sa cosa possiamo fare e - soprattutto - cosa non possiamo fare. Quali sono le partite per noi. Per noi da vincere e, dopo esserci riuscite, quel saltellare era comunicare la soddisfazione oltre la gioia.” E saper celebrare una vittoria, piccola o grande che sia, è una conquista individuale. Verso la squadra.

Suonare il piano. “Quando sono triste, vado al piano. Comincio a suonare. Mi sento bene. “Divenire” di Ludovico Einaudi, il pezzo che sento più mio.” E poi continua: “Mi piace suonare anche quando qualcuno me lo chiede, per sentirsi insieme”. Continua a raccontarsi. Malinconia ed essere buffona sorridente (“un mio ruolo quando usciamo dal campo”, la sua leadership dentro una squadra, questa volta aggiungo io). Come un po’ siamo tutti.

Sabrina Cinili. “È il mio riferimento. Vorrei essere come lei. Alta e veloce. Con tiro. Capace di palleggiare. Aggressiva in difesa. Attiva in ogni situazione di gioco”. Un esempio bello. Un esempio non banale. Un esempio scelto, per sentirsi se stessa. Per arrivare un giorno - lo dice ridendo - a non sentire le persone che sempre la salutano partendo con la stessa frase “Ah, sei la figlia di Sandra Palombarini”. “Sono fiera di mia madre. Di quello che ha fatto sul campo e di quello che fa nel basket ogni giorno, ma se un giorno le dicessero sei la mamma di Valeria Trucco non sarebbe male...”

Tiro. “Il tiro è la mia qualità. Lo so. Come sapevo che in tanti pensavano che con quel tiro come poteva essere che a volte ero completamente anonima in campo. Giocavo senza lasciare traccia”. Poi un giorno, sul finire dello scorso campionato in una partita a Battipaglia. “Ho fatto una canestro da fuori, poi uno dentro l’area. È scattato qualche cosa. Ho capito che potevo non essere solo una sponda in campo. Con la fiducia di Massimo (Riga, il suo allenatore) adesso mi sento diversa. Prima pensavo che giocare non tanti minuti e prendersi un tiro potesse essere etichettato come comportamento da egoista”.

Avere e prendersi responsabilità non è mai egoista, è ambizioso. È volerci provare. Senza scuse. Per se stesse. Per rendere più forte la propria squadra. Sempre. Con l’aiuto di tutti. Senza pensare ad un Ma. Non c’è nessun Ma. Per poter saltellare felice, ancora e ancora.

 

Marco Crespi

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