Su questi spazi abbiamo parlato di come gli anni ’70 del
Geas siano stati un’epopea di dominanza e vittorie per la squadra sestese:
entrando nei favolosi anni ’80 della nostra pallacanestro altrettanto si può
dire del rendimento da record della A.S. Vicenza, che tra il 25 marzo 1984 e il
2 marzo 1986 ha fatto registrare una striscia di ben 60 vittorie consecutive in
campionato. E poi anche un altro record, 74 successi di fila se si considerano
soltanto i match giocati in casa: prima vittoria il 29 gennaio 1984 contro
Avellino, la sconfitta che segna la parola “fine” nella stagione 1988/1989, di misura (62-63) contro Priolo.
Un’epoca magica, quella di cui parliamo oggi, per la
pallacanestro vicentina, che coincide con la conquista di ben quattro Coppe dei
Campioni consecutive dal 1985 al 1988, un poker superato solo dal Daugawa Riga
(12 Coppe consecutive!) ed eguagliato dallo Spartak Mosca Region, vincente in
Eurolega dal 2007 al 2010. Vicenza trionfò anche nel 1983 e andò in finale
nell’84 e nell’89 costituendo presenza fissa nei vertici della competizione, di
fatto, per ben sette anni.
Torniamo in Italia: lì il dominio inizia prima, con lo
Scudetto 1982, e termina soltanto nella stagione 1988/1989 di cui sopra, quando
la squadra di Corno viene eliminata addirittura ai quarti di finale dall’Ancona
di Lataunya Pollard, autentica bestia nera che quell’anno vince ben tre delle
cinque sfide stagionali. In quest’epopea anche sei titoli giovanili nazionali,
a testimonianza che la grande Vicenza era fatta anche di tanta italianità
(Valentina Peruzzo e Catarina Pollini le giovani del vivaio più note, Mara
Fullin e Lidia Gorlin le stelle arrivate negli anni ‘80), oltre che di grandi
straniere.
Capitolo straniere: la pallacanestro italiana era cambiata
tanto dai tempi dell’epopea Geas, il gioco stesso era cambiato tanto.
L’introduzione del tiro da tre, l’assegnazione dello Scudetto coi Playoff, a
appunto l’arrivo delle straniere nel massimo campionato: il decennio coincide
con tantissimi record individuali ed è costellato di prestazioni stellari. La
prima straniera di Vicenza è Chris Kirchner, rilevata grazie alla preziosa
intermediazione di un certo Dan Peterson, e in campo per una Coppa dei Campioni
vinta nel 1983 grazie alla rimonta da 0-14 nella finale contro Dusseldorf (“Il
Giornale di Vicenza” ai tempi sentenzia: «La più grande partita di
basket femminile mai vista»), al termine del quale si sarebbe ritirata; successivamente
ecco Beverly Smith, Hall of Famer e una delle giocatrici più vincenti in circolazione;
la quadratura finale del cerchio arriva però nella stagione 1984/1985 con
Janice Lawrence, ancora oggi la primatista per punti in carriera nel campionato
italiano. «Janice
è la più forte cestista che abbia mai allenato e per la più forte, ogni epoca,
- sottolinea il coach di quella squadra Aldo Corno – del basket femminile
mondiale»,
mentre Antonio Concato, storico patron prima della sua scomparsa nel 2018, rincarava la dose: «Janice
per me è l’americana più forte mai arrivata in Italia».
A proposito: la figura di Antonio Concato è inscindibile da quella squadra di cui è stato di fatto padre
fondatore e per cui a vario titolo ha ricoperto ogni tipo di ruolo, dagli anni '60 dei primi titoli sino alla fine del suo corso. Di lui si è
parlato tanto, qui citiamo solo gli episodi che ha raccontato di prima persona
su quel periodo. All’inizio degli anni ’80 Concato, per il prima volta, non è
più il presidente della società: Mario Zoppelletto la rileva, ne riappiana i
dissesti economici e Concato viene nominato vicepresidente, ma di fatto anche
general manager della squadra. Nasce un sodalizio che, pur con un burrascoso
finale, colleziona tante soddisfazioni. Il primo tassello individuato da
Concato per il progetto di dominio europeo di Vicenza, nell’estate del 1980, è
un mix d’istinto e ostinazione: «Torino aveva comunicato da tempo il
suo ritiro e proposi a Zoppelletto Gorlin e Sandon. Mi diede carta bianca».
La trattativa è estenuante: stando a quanto dicono da Vicenza, è tutto pronto
per firmare, quando Fiat venne assorbita dall’Accorsi Torino ,che fa di tutto
per tenere le due giocatrici. Concato, con furbizia e grazie alla mediazione dell'avvocato Sergio Campana e in un secondo momento Giampiero Boniperti, riesce comunque a chiudere il doppio
acquisto, festeggiato con fiumi di Coca-Cola, di cui andava pazzo.
Se Sandon si ritirò dopo lo scudetto del 1984, Gorlin si rivelò successivamente
il perno della Vicenza della striscia-record. La definizione di Concato: «La
miglior playmaker d’Europa negli anni ’80: velocità, grinta tiro, una vincente
nata. Nelle partite difficili sapeva giocare di squadra come nessun altro.
Aveva un’intesa con Lawrence stupefacente, sembrava avessero giocato insieme da
sempre. La sua evoluzione da play è da manuale scolastico: più invecchiava,
meno tirava e più si metteva al servizio delle compagne».
Non solo lei, secondo il patron: «Oltre a Gorlin, in quella squara Peruzzo,
Fullin e Pollini sono state fondamentali, non a caso abbiamo smesso di vincere
quando due di loro (Gorlin e Pollini) non sono state più con noi. Fullin aveva
doti atletiche eccelse: avrebbe potuto anche eccellere nella corsa a ostacoli e
nel salto in alto; Pollini esordì in prima squadra a tredici anni, già l’anno
dopo sarebbe diventata titolare inamovibile: grande rimbalzista, atleta
eclettica, completa, veloce, sgusciante con gran senso del canestro. Non posso
dimenticare il carattere feroce di quel gruppo, la professionalità, l’esigenza
più che la voglia di vincere. Di quel roster ricordo anche Stefania Passaro,
acquisto anomalo perché per convincere Perugia le concedemmo di abbinarsi al
nostro sponsor Fiorella. E poi i coach vincenti dei nostri anni ‘80: Franco
Giuliani, Piero Pasini, Roberto Galli, Aldo Corno che scoprì con lo Scudetto
Allieve dell’Algida Roma e presi subito appena libero, dopo la prima stagione a
Viterbo».
Aldo Corno, appunto. Torna sempre lui, nelle nostre storie. È il coach della stagione perfetta, 1984/1985. Succede a Roberto Galli e racconta
così l’inizio della sua parentesi con la formazione veneta, che parte una
telefonata inaspettata: «Erano i primi giorni di un caldo giugno del 1984, ero
appena tornato a Roma dopo aver vinto la mia prima Coppa Italia con Viterbo. In tarda mattinata squillò il
telefono e chiesi chi era. Sentì una sola parola: “Concato”. Lui non rispondeva
mai con una frase fatta, ma col suo storico cognome pronunciato con cadenza
lenta e musicata. Mi disse che mi aveva scelto per la squadra e per il
fantastico progetto che aveva in mente».
La striscia da 60 vittorie in realtà parte dal campionato
precedente, per cui ci serve fare un passo indietro per un momento: tutto inizia
il 25 marzo 1984 con le due gare della serie finale contro la GBC Milano di
Bianca Rossi e Valerie Still. Vicenza è sotto 0-1 nella serie: vince Gara 2, ma
soprattutto s’impone nella decisiva Gara Scudetto, 63-65. Sotto di dodici punti,
le vicentine rimontano e sprecano tanto nel finale, per poi andare ai supplementari: la vince Cata
Pollini, ai tempi appena diciottenne, con 25 punti personali. La campagna
europea, quella stagione, si conclude invece con la debacle in finale contro il
Levski Sofia, con tanto di polemica: «A quella sconfitta contribuì un fallo
intenzionale fischiato a Peruzzo che per me non c’era. – raccontava Concato –
Eravamo nel momento migliore, la decisione arbitrale ci frenò e, quando perdi
82-77, ci fai più di un pensierino sopra».
L’anno successivo è quello, appunto, della stagione perfetta:
vanno aggiunte 32 vittorie alla striscia, con un incredibile dato di 95.5 punti
di media a gara a fronte di appena 69.7 punti subiti di media, una delle
stagioni più prolifiche per il campionato italiano in termini di punti a segno
e di scarto medio. Il più largo successo di quell’anno il 27 gennaio, 113-12
sul campo della Zinzi Caserta. Le vittorie più difficili quelle contro Viterbo,
ex squadra di Corno guidata dall’americana Linnell Jones, che va prima molto
vicina in stagione regolare (59-61) e poi in Gara 2 di Finale Scudetto, 54-58
il finale. Lawrence in quel match segna appena nove punti, ma è grande
protagonista della stagione con ben 26.7 punti di media, mentre Pollini chiude
quinta tra le italiane (dietro a Rossi, Draghetti, Zanotti e Cesati in ordine
sparso). Quell’anno arriva anche il trionfo europeo, in una finale giocata
proprio a Viterbo, contro la corazzata Riga. Con un gioco moderno basato su
pressing e 1-3-1 che lascia di stucco anche la leggendaria Uljana Semionova
che, dopo la sconfitta 63-55, fa professione d’autocritica: «Brave le italiane,
noi giochiamo un basket ormai superato».
Anche la stagione successiva, con un gruppo praticamente
confermato dopo i successi dell’anno prima, parte alla grande: vincerà ancora
lo Scudetto forse con meno dominanza. Nel match decisivo ancora una volta
Lawrence mette il mantello da supereroe, fa 33 e il tricolore arriva superando
la Deborah Milano: ma la striscia era già persa. Quella termina il 2 marzo,
contro la Comense di Ballabio e Williams, 60-65 il risultato per la squadra che
poi sarà l’avventura successiva per coach Corno, con tante giocatrici di quel
gruppo al seguito. Sono già iniziati gli anni ’90. Perché l’aura d’imbattibilità
di Vicenza termina spiritualmente con quel ko, ma soprattutto con la sconfitta
interna con Priolo e con lo Scudetto di quell’anno, che dalla terra del
Palladio si sposterà in Sicilia: complice la crisi e cessioni dolorosissime
(Pollini, Fullini e Salvestrini tra le altre) si chiude un’era storica,
pienamente appagante ma forse, alla fine del ciclo, fin troppo ricca di
aspettative. Tanto che Concato, prima di lasciarci, la prendeva con filosofia:
«Dopo tutte quelle vittorie, quella sconfitta con Priolo fu quasi una
liberazione».
(Risultati e statistiche da "Almanacco del basket al femminile" di Massimiliano Mascolo. Interviste da "Antonio Concato, la leggenda del basket femminile - Quando Vicenza trionfava in Italia ed Europa" di Roberto Pellizzaro. Foto di VelcoFin InterLocks A.S. Vicenza)