Appunti dal campo, attraverso un numero, una statistica insieme alle parole di chi è protagonista, per provare ad arrivare ad un pensiero tecnico.

28’ in campo, 3 su 3 da 2, 1 su 3 da 3. 2 palle recuperate e 3 rimbalzi. Sono numeri normali quelle della partita di Valentina Bonasia contro la capolista Venezia. Non è una partita normale quella che lei ha giocato. La sua Broni vince e la sua energia mentale arriva a tutti. Alle compagne, al suo pubblico, a chi guarda neutrale.

“Il tennis era il mio sport a livello professionistico”. Giancarlo, il papà di Valentina, è un maestro di tennis. Non solo, dirige un centro. E Valentina giocava a tennis. Ogni giorno, tante ore sul campo. Tornei in giro per l’Italia e poi per l’Europa. Giocava anche a basket, nella sua Sulmona, serie B regionale, una squadra composta da chi aveva l’eta dagenitoreedachi,come lei,eraragazzinanonancoraquindicenne.Poiun’estateun torneo -di basket- a Chieti. L’invito ad andare a Cervia (uno dei vivai del basket femminile di allora). E la sua vita sportiva cambia.

“Non c’è stato un giorno un cui ho detto a mio padre, gioco a basket, ho deciso”.
Non un giorno. Un viaggio verso Cervia. Un viaggio per capire come avrebbe potuto essere. “Mi allenavo tutti i giorni con lui. Era mio padre. Era il mio maestro. Era esigente, avevo il mio carattere. Spesso capitava che mi mandasse via dal campo”. Valentina sentiva che sul campo da basket si divertiva di più. E così non più in giro per l’Europa con la racchetta, ma allaccianodo le scarpe da basket ogni giorno. “Il mio punto di riferimento nella vita ? Mio padre.” Maestro di vita.

Sfida. Valentina accetta la prima sfida, quando Lupo Giordani responsabile del club di Cervia le dice in modo molto diretto “Non puntiamo su di te. Non penso che con quel fisico tu possa fare tanta strada (le altre che quell’estate arrivarono a Cervia erano Elena Ramò, Sara Coppola e Cecile Ngo Noug). Però abbiamo un posto in più, ti prendiamo e poi vediamo come va”. Accetta una sfida, lasciando il tennis. Sentendo che si sarebbe divertita nella sfida.

Voglia di lavorare da sola. “Il tennis mi ha lasciato questa voglia di lavorare da sola. Un bisogno. La mattina della partita, quando non c’è allenamento. Prima di ogni allenamento. L’estate. Un bisogno provare movmenti e tiri. Quelli che sento miei e quelli dove sento la necessità di migliorarmi”. L’estate nel centro tennis di suo padre un campetto c’era già, ma adesso è più bello. E Giancarlo non l’ha migliorato solo per i soci, ma per Valentina, che su quel campo passa ogni pomeriggio. “Al mattino gioco a tennis, sempre ogni giorno. Anche contro papà, adesso non riesco più a strapparli qualche set, prima ci riuscivo”.

Forza mentale. Sul campo da tennis si è da soli. Responsabilità e pressione. “Sei da sola. Sul campo da tennis. Sul campo da basket no. Ma devi essere autonoma a risolvere i problemi. Ed in questo il tennis mi ha aiutato”. E questo arriva a chi la guarda. Una persona che va oltre i suoi limiti. Che sfida il campo. Che si sente felice quando “le compagne si fidano ad essere guidate da me. Una sensazione esaltante.” Come battere l’imbattuta Venezia. Festeggiando con una birra chiara e una pizza (“dopo una partita non voglio cibi sofisticati”). E premiandosi con il prossimo acquisto (“amo fare shopping. Un Hogan bassa o l’ennesima Dr. Martins il prossimo acquisto). Facendo una vita normale. “In ogni posto dove gioco cerco di avere amici anche fuori dalla squadra”. Sentendo che manca ancora qualcosa per sentirsi sempre felice, “alzandosi al mattino con il piacere di fare ogni giorno quello che stai facendo. Completamente.” La prossima sfida.

 

Marco Crespi

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