Lucca. Entra una giocatrice con la maglia d’allenamento. Colori sgargianti. Non solo, c’è lo scudetto per vederlo. E farlo vedere anche in allenamento. Il completamento di un qualcosa, che, probabilmente, neanche la più audace proiezione poteva immaginare come meta.

Martina e il tiro da 3 punti. Potremmo partire dalle statistiche di questa stagione. Dicono 6 su 23 per il 26%. Sarebbe un inizio sbagliato. Meglio partire dai due personaggi.
Martina è l’esempio della giocatrice vera. Quella che ogni compagna vuole avere al suo fianco. Sul campo. Quella che ogni allenatore vorrebbe sempre nella sua squadra.  
Il tiro da 3 punti è quello che emoziona tutti, chi lo segna, chi- in modo opposto- lo subisce, la persona che guarda, esperto o profano che sia. E’ quello che allarga il campo. E’ quello che va preso in certe situazioni. Per battere la scelta difensiva nel modo più semplice.
“Il mio primo canestro da 3 esattamente non me lo ricordo, avrò avuto 12-13 anni. Ho pensato che ce l’avevo fatta”. 
Il tiro da 3 punti ha un sapore speciale. “Però non riesco a fare un gesto di gioia totalmente pubblico. Stringo le due mani, chiudo i pugni. Pensando ce l’ho fatta”. Come la prima volta. 
Il tiro da 3 punti è una meta. Un tiro da 3 punti arriva dopo che la tua squadra ha attaccato, dopo aver creato un vantaggio. Un piacere prenderlo perché significa che si è costruito qualcosa. 
E allora Martina non sentire il (troppo) rispetto di non prenderlo per pensare a un’altra situazione “Perché se ne ho già sbagliati due sento la responsabilità di fare un'altra scelta”.
Non pensarci proprio. E pensa al movimento completo della mano, la tua attenzione su quel dettaglio (“se faccio il movimento della mano completo, sento di aver fatto il mio miglior tiro”) che ti aiuta anche dopo un errore.
Il basket è attaccare e emozione. Un tiro da 3 nasce dopo aver attaccato. E segnarlo è emozione che contagia. 
Un tiro da 3 è qualcosa di serio, non di superficiale. Va allenato. Per volergli bene e sentirlo proprio.
Serio come Martina. 

Loris Barbiero era davanti ad un compito difficile. Guidare Lucca dopo la conquista del sogno. Non facile. Per tanti motivi. Volendo (e dovendo) cambiare. Perché era? Perché oggi gioca con personalità e credendo in quello che fa. Non facile farlo l’anno dopo il Sogno.

“Mi piace pensare che si possa essere valutate non solo per punti e percentuali, ma anche per le cose sporche”. Parole di Giuditta. Cose sporche. Sporco. “Oggetto, la cui nettezza è visibilmente alterata da sostanze estranee, talora in modo tale da non poter essere utilizzato, se non dopo essere stato ripulito”. Questa la definizione dalla Treccani. 
No. Quelle cose non sono sporche. Le abbiamo sempre chiamate cosi. Il rimbalzo difficile. Il movimento senza palla al momento giusto. L’1c.1 difensivo che non permette al tuo avversario di entrare in partita con il suo movimento preferito.
Quelle sono cose belle. Da ammirare. 

 

Ufficio stampa FIP

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